Il raviolo, che in
un passato remoto si chiamava anche
"gè in preixun" (bietole
in prigione), è un piccolo
scrigno ricco di tradizione come di
apporti individuali.
Esagerando un po', si potrebbe sostenere
che ogni famiglia ha il suo modo di
fare il ripieno. Un ripieno le cui
radici sono contraddittorie: e stata
una maniera geniale per utilizzare
gli avanzi dei banchetti della nobiltà
o, al contrario, una scelta consapevole
che considera quanto di meglio può
offrire il mercato? Un intelligente
esercizio di "ripulitura"
o un'esaltazione di prodotti specifici
legati al territorio? E' un fatto
che la pasta ripiena la si trova sia
nella versione più ricca sia
in quella più povera, a sottolineare
probabilmente che chi non poteva permettersi
il meglio s'industriava con ciò
che aveva a disposizione pur di non
rinunciare al piacere di cibarsene.
Molte regioni settentrionali rivendicano
il primato dell'invenzione del raviolo.
Ci arriva voce che col nome di rabiola
(termine medievale che si riferisce
forse alle rape le cui foglie, in
origine, erano un ingrediente) compare
per la prima volta in un documento
del 1243 come specialità cremonese.
In realtà fagotti di pasta
con ripieni vari si trovano già,
archetipi di una cucina elaborata,
in tempi molto lontani. Comunque sia,
il poeta genovese Bacigalupo con azzeccati
versi loda lo sconosciuto inventore
che afferma essere ligure:
No se leze nell'Istoja
Patria scrito né memoja.
No se treuva nisciun daeto
de chi posse ese mai staeto
quello bravo e bon figgieu
chi ha sapuo inventa i Ravieu.
Oh beneito e benexio!
Benché in povee, mi ghe crio,
questo ligure talento
grande eroe do tempo andaeto,
gastronomico portento!